Factotum

Lavori precari in un libro totalmente statico
 Tempo fa mia zia mi si è presentata con in mano un libro,dicendomi "Leggilo e sappimi dire cosa ne pensi.Me lo hanno regalato, ma ti giuro, è terribile".
Ora, mia zia è quanto di più lontano da una persona moralista e bigotta, e a parer mio ha dei buoni gusti letterari. Quindi inutile dire che dicendomi così mi aveva incuriosito non poco.

Factotum è un libro del filone "on the road", con un protagonista in perenne movimento e una narrazione fatta di piccoli episodi quotidiani. Genere che a me piace molto.
Pubblicato nel 1975 è l'opera che ha consacrato lo scrittore americano Charles Bukowski al pubblico internazionale ed è a tutti gli effetti un romanzo semi-autobiografico, nel quale vediamo un personaggio fittizio che altri non è che l'alter-ego dell'autore.
L'ho letto in appena due giorni, e ho parecchio da dire circa questo titolo, nel bene e nel male.
Henry Chinaski è un giovane americano che, dopo essere stato rifiutato per l'arruolamento nell'esercito, alla vita chiede solo quel tanto che basta per tirare avanti. Vivacchia di una miriade di lavoretti trovati spostandosi in continuazione nei vastissimi USA. Siamo ormai verso al fine della Seconda Guerra Mondiale e di lavori manuali ce ne sono in abbondanza, basta saperli trovare.
Eppure Henry non riesce a mantenerne nemmeno uno, in una vita segnata dal continuo, irrefrenabile bisogno di spostarsi in un'altra città, di trovare un lavoro diverso, di fuggire da qualsiasi legame.
Lo stile è asciutto e scorrevole, con pochi dettagli: questo contribuisce a rendere il romanzo scorrevole e leggero, si legge in un paio di giorni (se avete un po' di tempo, riuscirete a finirlo in un giorno solo). Non annoia di sicuro, intrattiene, e nonostante le descrizioni scarne si crea un'atmosfera ben definita, nella fattispecie decadente e malsana.
Ciò che definisce gli ambienti, il ritmo, l'atmosfera è il protagonista Henry. Protagonista che ho trovato insopportabile. Non so se l'autore (di cui Henry è l'alter ego) volesse cercare di  creare un antieroe, di descrivere un ribelle, un anticonformista o semplicemente di ritrarre il soggetto medio dei bassifondi americani (intento che è invece chiarissimo ad esempio nei libri di Irvine Welsh).
Se voleva solo amareggiare il lettore mettendogli in faccia una triste realtà, bè, niente da ridire.
Henry è uno spiantato senza nessuno scopo nella vita. Non ha nessun tipo di ambizione, non ha passatempi, non c'è niente che lo appassiona. L'unico fedele compagno è il vizio del bere. Non è un ribelle e non cerca nulla, vuole solo avere due soldi in tasca per comprarsi la dose quotidiana di alcol.
La cosa che più mi infastidisce di lui è che non è quel tipo di personaggio anticonformista che rifiuta di lavorare per seguire un proprio stile di vita, convinto di poter vivere a modo suo. Henry non cerca di costruirsi proprio niente, sa bene che deve lavorare per campare, ma al contempo è troppo pigro per mantenersi un posto di lavoro. Sa che il lavoro è importante ma si rifiuta di ammetterlo a sè stesso.
Di volta in volta lo vedremo farsi licenziare per motivi più o meno stupidi, che ci faranno venir voglia di prenderlo a sberle. Della serie: vuoi poltrire sul lavoro? Fallo con un minimo di furbizia.
Tra i lavori che cambia, incontra datori stronzi e datori magnanimi. credete che gliene importi qualcosa? No, a lui non importa di come viene trattato e non porta rispetto a nessuno, nemmeno a chi lo tratta dignitosamente. E' questa fondamentale mancanza di rispetto che me lo rende odioso. Ad esempio, se gli concedono di prendersi una pausa ogni volta che non c'è lavoro per andare a bersi un caffè, dopo pochi giorni lui è in pianta stabile al bar a sbronzarsi. Rispetto zero, e soprattutto zero furbizia.
Di tanto in tanto trova una donna poco schizzinosa e riesce a intingere il biscotto, ma le scene di sesso sono credibili quanto in un porno. Ora, non so come andassero all'epoca le cose in America, ma l'idea che mi entri una sconosciuta in casa e, di prepotenza, mi faccia un pompino mi sembra giusto un pelo inverosimile.
La prima volta che poi entrano in scena i genitori del protagonista, fanno la parte delle persone crudeli e insensibili (soprattutto il padre di Henry). Ad un primo sguardo ci verrebbe da bollarli come perfetti stronzi. Quando conosceremo meglio Henry ci troveremo a dar loro ragione.
La compagna di Chinaski infine è esattamente come lui: spiantata, approfittatrice, infedele, alcolizzata, senza arte né parte.
Le ambientazioni sono descritte in pochissime righe, senza spenderci troppe parole. Del resto non avrebbe senso andare a descrivere dettagliatamente degli ambienti che dopo poche pagine verranno abbandonati. E in fin dei conti, per il protagonista, sono ambienti tutti uguali: semplicemente posti di lavoro. Che siano popolati da persone odiose o affabili, che siano al chiuso o all'aperto, sempre quello sono: posti di lavoro. E come tali, poco piacevoli a prescindere.
E anche qui, ogni tanto, trovandoci a leggere di un posto di lavoro sopportabile ci viene da sputare in faccia al protagonista e chiedergli:che cazzo ti passa per la testa?!
Alcuni affermano che questi frammenti vanno a completare un quadro della realtà americana dei bassifondi: lavori diversi ma che sotto sotto sono tutti uguali. Secondo me non è assolutamente vero. Non sono i lavori e gli ambienti ad essere tutti uguali, è il protagonista che li vede come tali. E l'autore agisce di conseguenza: il lavoro per Henry non è importante, i luoghi dove lavora non sono importanti, non vale la pena descriverli. come già detto, non avrebbe senso.

di solito i romanzi "on the road" portano il protagonista -o i protagonisti- ad una crescita interiore, oppure la causano nel lettore, portandolo a comprendere la mentalità dei personaggi. In questo caso no. Il libro è breve, più un racconto lungo che un romanzo, poco più di centocinquanta pagine.
Ma credetemi, per i contenuti non sarebbe cambiato nulla nemmeno se fossero state duecento, trecento o tremila.
Henry infatti non cambia di una virgola. Non impara nulla, non si pente, non trova uno scopo, non crea legami. E non sarebbe neanche male, se lo scopo del libro fosse proporre uno stile di vita alternativo. Come già detto questo genere di romanzi spesso fanno cambiare noi, arrivando magari a farci pensare "ma tu guarda, questo vive completamente fuori dagli schemi, in mezzo alla miseria, ma è libero e più felice del borghese medio".
Non è questo il caso. Il protagonista non è felice, ma nemmeno si compiange. Non ha uno scopo ma non vuole nemmeno cercarne uno.
O meglio, lui scrive racconti brevi, che invia ad una prestigiosa rivista americana, e gli vengono sempre, puntualmente, rifiutati. Ad un certo punto uno viene accettato. "Bene!" pensa il lettore, "finalmente la sua vita cambierà, troverà uno spunto per fare qualcosa della sua esistenza!". E invece no. Anzi, i racconti non si nominano nemmeno più. Forse Chinaski è talmente legato al suo modo di vivere privo di senso che anche la sola prospettiva di poterlo cambiare lo spaventa. Perché è si privo di senso, ma anche di qualsiasi responsabilità.
E per questo personaggio totalmente irresponsabile, incapace di farsi carico anche solo della propria vita, che vive alla giornata, provare a cambiare è troppo faticoso. Non sta bene, è infelice, ma cambiare è difficile. La mentalità di un bambino di cinque anni.
C'è chi sostiene che non sia del tutto infelice. Non vedo come uno che passa il proprio tempo a tirare avanti a fatica e mediti il suicidio possa esser contento. Perché si, Henry ad ammazzarsi ci pensa. Ma, indovinate un po'? Suicidarsi è tropo complicato e faticoso, per compiere un gesto del genere dovrebbe uscire dalla fanghiglia apatica nella quale si crogiola.

Forse se fosse stato un racconto di una cinquantina di pagine avrebbe funzionato meglio. Perché questo libro non ha un inizio e non ha una fine. Non c'è un percorso. Non c'è una morale. Non c'è un intento. A cosa serve? ...boh?
Solo a vedere un pezzetto della vita di un uomo inutile e fastidioso? Henry ride della società, tratta i colleghi con sufficienza anche se spesso cordialmente, reputandoli spesso stupidi. Stupidi perché incatenati al lavoro? E si può considerare forse libero, lui, schiavo del bisogno continuo di bere e comunque sempre dipendente da una società dalla quale torna immancabilmente per procurarsi qualche dollaro? Più che un eroe, sembra un parassita.
Paradossalmente è un romanzo "on the road" nel quale regna l'immobilità più assoluta.
Può essere realistico, ma ci sono cose che funzionano nella realtà ma non sulla carta. Ne parlavo con la mia migliore amica e lei mi ha citato un personaggio di King che dice "Ho letto un articolo di giornale che parlava di un cane che dopo essersi smarrito è tornato dalla famiglia dopo dieci anni. Se proponessi una storia del genere al mio editore me la stroncherebbe immediatamente".
Perché? Pensateci un po'.

L'edizione che mi hanno prestato è l'ultima edita da TEA, datata 2012, che ci propone un tascabile economico (€ 8,00) e leggero ma sufficientemente robusto per essere ficcato in borsa.

Nonostante tutto non vi sconsiglio di leggerlo nella maniera più assoluta. Potete farlo se volete un ritratto dell'uomo più irresponsabile del mondo (anche se sono convinto che ce ne siano tanti come lui ma pensare che la totalità del proletariato americano fosse così mi sembra assurdo). E sono convinto che sia scritto bene, con un ritmo perfetto e uno stile graffiante. Ma se siete in cerca di lavoro, in questo periodo di crisi, vi verrà voglia di buttarlo fuori dalla finestra.