Lo scannatoio

Comari, ubriaconi, violenza, miseria e denuncia sociale

  Non ho mai disdegnato leggere gli autori studiati a scuola ai bei tempi (si fa per dire) delle superiori.
Qualche tempo fa, rovistando in una libreria di libri usati (libri a 1 euro, non posso non darci un'occhiata se me li tirano dietro così), ho recuperato un libro di Zola, "La bestia umana".
Bè, da lì ho scoperto che questo autore mi piace un sacco.

Due parole (giusto due) per chi non lo conoscesse o se ne ricordasse poco.
Zola è stato uno scrittore francese attivo nella seconda metà del 1800, ed è considerato il fondatore del naturalismo francese (simile al verismo italiano.. vi ice niente un certo signor Verga?).
E' celebre soprattutto per il suo ciclo di romanzi dei Rougon Macquart: venti libri che seguono le vicende di una famiglia attraverso le varie generazioni.
In essi l'autore sviscera la sua teoria sull'ereditarietà, su tratti genetici non solo somatici ma anche caratteriali che passano dai genitori ai figli.
"La bestia umana", di cui parlavo prima, è il diciassettesimo romanzo di questa saga, ma i libri sono tranquillamente leggibili ognuno a sè.
Dopo averlo letto, mi sono precipitato a cercarne altri.
E, sempre per pochi euro, ho trovato "Lo scannatoio", edito dalla Newton Compton Editori: una bella edizione, ben curata e nuova di zecca.
Lo scannatoio, o, se preferite, L'assommoir, è uno dei romanzi più celebri di Zola: è compreso nei piani di studio di qualsiasi liceo o istituto superiore.
Cercherò di farne una recensione che abbia il meno possibile il sapore di testo scolastico.

Cominciamo dalla trama.
Gervaise è una giovane madre: vent'anni, già due figli, un marito fannullone e zero prospettive per il futuro. Tuttavia, dopo essere stata lasciata dal consorte, cede alla corte del vicino di stanza e finisce con il risposarsi.
Inizia qui una parabola che la porterà prima verso un progressivo miglioramento della vita: riuscirà a trovare lavoro, trovare una casa decente, risparmiare qualche soldo e addirittura mettersi in proprio, aprendo una piccola bottega.
Ma, dopo un incidente del marito, che lo costringe a letto per qualche mese, le cose cominciano pian piano a andare a rotoli: lui si impigrisce, perde l'amore per il lavoro, inizia a bere. Così iniziano a coprirsi di debiti e a scivolare pian piano verso la miseria più nera.

La trama è tanto semplice quanto tragica.
Le ricerche svolte da Zola, uomo pignolo e preciso, conferiscono a tutto il romanzo un sapore crudele e autentico, dalle descrizioni degli ambienti ai personaggi, caratterizzati alla perfezione.
Tutta la storia si svolge all'interno della classe operaia, in quella terra di nessuno che è la periferia parigina dell'epoca di Napoleone III: un luogo che non è campagna, ma viene ignorato anche dalla città.
E in questo ambiente, la miseria regna sovrana: possedere una casa di tre stanze è un gran lusso. Le paghe sono misere, così come le ambizioni.
Eppure, nonostante tutto, la gente che sguazza in questa miseria fa di tutto per salvare le apparenze, darsi un'aria di rispettabilità e onestà, celando le invidie, per poi sfociare nel pettegolezzo più sfrenato. Abitudini che nulla hanno da invidiare alla borghesia e all'aristocrazia.
Ma non si deve pensare che i personaggi di questo libro, il proletariato, la fauna dell'ultimo anello della società, siano cattivi: sono solo ignoranti, istintivi, spesso disperati e spinti alla ferocia.
Perché in che altro modo potrebbe reagire un essere umano che vive nella miseria?
L'unico sollazzo (e sollievo) è bere, dimenticarsi dei propri guai fino addirittura a riderne. Ed ecco che spunta "L'assommoir", lo scannatoio del titolo: si tratta di una bettola dove si distilla acquavite, e dove tante esistenze dilapidano il salario, troppo deboli per affrontare gli affanni quotidiani e capaci solo di affogarli nell'alcol, mentre la loro vita si inabissa sempre di più.
In questo scenario assisteremo alla progressiva trasformazione di Gervaise, da essere umano a bestia affamata in cerca di un tozzo di pane; personaggio simbolo della quasi totale classe a cui appartiene.
Ma che, in fondo, sono persone delle quali non importa niente a nessuno: se muoiono, lo fanno in silenzio.

Mi fermo qui.
Potrei andare avanti a parlare di questo libro molto a lungo; ma il mio scopo è fare una recensione e incuriosirvi un po', non fare un tema o un trattato scolastico.
Finisco con il dire che, nonostante si tratti di un libro di fine '800, lo stile è scorrevole e semplice, assolutamente non pesante o verboso.
Si parla di operai, e Zola parla come loro: descrizioni schiette, dialoghi semplici e spesso infarciti di volgarità. Non ci si fa mancare nulla insomma.
L'edizione mi piace molto, è robusta e contiene una lunga ed esaustiva premessa sull'autore e sul ciclo dei Rougon Macquart, dei quali riporta anche un utile albero genealogico.

Vi invito caldamente a leggerlo. Non scartatelo solo perché è un libro studiato a scuola, quindi per forza noioso.
Fa riflettere sulla concezione che abbiamo di povertà e miseria, su molte convenzioni sociali che non sono andate perse per niente (vedesi ad esempio lo scimmiottare a tutti i costi le classi sociali più ricche anche se non se ne hanno i mezzi), su tante abitudini che sono ancora presenti, anche se evolute e accuratamente nascoste dietro ad una maschera di rispettabilità.
Insomma, un romanzo di più di cent'anni fa ma che potrebbe benissimo essere riadattato ai giorni nostri, con qualche accorgimento.
Fateci un pensierino.