Il mulino dei dodici corvi

Polveroso e nostalgico

In questo mese ho letto davvero poco. O meglio, non ho letto nulla che meritasse una recensione. Quindi, per il libro del mese, vado a riesumare una vecchia lettura di cui ho parlato solo brevemente su Anobii.

Stasera, per tutti gli amanti delle fiabe e del fantasy più classico, vi parlo de "Il Mulino dei Dodici Corvi".
Datato 1971, arriva dritto dalla penna di Otfried Preußler, un crucco che se la cava egregiamente nell'ambiente dei libri per ragazzi.
Il libro in questione, il cui titolo originale è "Krabat" (nome del protagonista), ha vinto numerosi premi tra cui la menzione d'onore per il Premio Andersen, dedicato alla letteratura per ragazzi.
Ne è anche stato tratto un film, che ho paura di guardare, già convinto che abbiano sminchiato tutto.
Ma confinare questo racconto nell'universo delle letture giovanili è restrittivo, e cercherò di farvelo capire.
La storia vede Krabat, un giovane ragazzo tedesco, che ha fatto del vagabondaggio il suo mestiere. Ma presto un sogno ricorrente inizierà a disturbare il suo sonno: undici corvi, appollaiati su uno steccato, lo chiamano e gli dicono di recarsi al mulino della palude di Kosel.
Incuriosito dalla ricorrenza del sogno, il ragazzo viaggia alla volta della palude e scopre che il mulino esiste davvero. Viene accolto dal mugnaio e messo a lavorare insieme ad altri undici garzoni.
Presto Krabat scoprirà di essere finito in una scuola di magia nera, e di non potersene andare. Non se ne preoccupa, comunque, ammaliato dal potere e dal mistero dell'arte oscura.
Ma non riesce a non porsi delle domande circa gli avvenimenti misteriosi che ricorrono al mulino: la visita periodica di uno straniero su un carro, il suo misterioso carico, la messa in funzione di una macina altrimenti sempre ferma.
Così come non è insensibile ai richiami del mondo esterno, all'amicizia e all'amore. Cose assolutamente proibite all'interno della scuola.
Già la storia, rispetto a quello che si trova in giro ora, è atipica. Nessun eroe che va a salvare il mondo, nessun protagonista con un tragico passato, niente draghi, goblin, unicorni e folletti.
La suola di magia (che ormai è impossibile non associare a Harry Potter), che vi aspetterete essere il cuore del libro, è invece gestita in modo marginale.
Non ci vengono mai spiegati con chiarezza i progressi compiuti da Krabat, e le lezioni di stregoneria sono scarne, fin troppo semplici e vige la regola "chi vuole imparare impara, chi non vuole invece son fatti suoi". Non ci sono esami, e il tempo è scandito dalle stagioni e dal lavoro al mulino.
Proprio il lavoro invece è importante: tramite esso Krabat si fortifica, impara la disciplina, la fatica, e socializza con i suoi compagni.
I rapporti interpersonali sono forse la cosa più interessante. Per quanto i personaggi siano caratterizzati con pochi tratti, riescono ad essere vivi, credibili e coerenti.

La cosa più apprezzabile dell'intero libro è che non ha nulla a che vedere con il fantasy moderno e con i suoi odiosi stereotipi.
I personaggi, le situazioni e la narrazione lo accostano più al mondo fiabesco di Andersen, di Calvino e delle antiche leggende, conferendo al racconto un'atmosfera polverosa e ovattata che ben si addice ad una storia che si svolge all'interno di un mulino.
I ritmi sono pacati e anche nelle scene di azione permane quella sensazione di un quadro dato con poche pennellate, che è comune alle fiabe e ai miti.
Ad esempio, se viene descritto un cavallo che corre per tre giorni, non ci sarà un resoconto puntiglioso delle sue sensazioni e del suo percorso, ma piuttosto qualcosa come "Corse per tre giorni attraverso le valli. Alla fine, era stremato per la fame, la sete e la stanchezza."
Può sembrare un modo semplicistico di narrare, ma se usato sapientemente, crea quell'atmosfera di cui parlavo sopra. Semplicemente, non siamo più abituati ad una narrazione del genere, del tutto assente nella gran parte del fantasy moderno.
Sono del parere che una simile narrazione crei un muro, in un certo senso, tra il libro e il lettore, rendendo difficile immedesimarsi nei personaggi.
In questo caso la cosa non è un male, anzi, non fa che fortificare quel sapore nostalgico di cui il libro è permeato.

E' una storia sul crescere, sulla disciplina, ma soprattutto sulle scelte che la vita ci propone: è meglio il potere o la libertà? E' preferibile una vita dove si è ricchi e temuti o una dove si è poveri e amati?
Lo consiglio a tutti, grandi e piccoli. Ai piccoli farà solo che bene, mentre ai grandi susciterà di sicuro un po' di nostalgia per uno stile narrativo che ormai sta purtroppo svanendo, in favore di virtuosismi stilistici o di lunghe e puntigliose descrizioni per riempire pagine e pagine che altrimenti resterebbero vuote.